Racconti dell'ombra

 


Ci sono elementi che non possono essere suddivisi all' infinito: non è solo la fisica a proporre questa realtà
ma anche l' esperienza comune. Solo la logica zenoniana continua a dividere lo spazio che intercorre tra
Achille e la tartaruga. Per noi ogni dualismo riserva una terra di nessuno dove le entità trovano

un' inscindibile unione. E l' attenzione di Erika Dagnino in questi due racconti si concentra su 

personaggi alla ricerca di definire lo «scarto tra se stess[i] e la [loro] ombra», tra «la natura della musica e 

quella dell' immateriale che viene evocato». «Il limite della possibilità individuale» dell’immateriale che 

proprio all'esterno di questi orli, che si afferrano con la mente, ma che non possono essere circoscritti. 

In questi recessi oscuri i «fatti inizia[no] ad annebbiarsi», resta la vita con il suo mistero inaccessibile

in gran parte alla mente: il mare ed un cucchiaio.

Giuliano Ladolfi, lunedì 17 agosto 2009
  www.atelierpoesia.splinder.com

 

 

 

..l'Autrice piega le dinamiche spazio-temporali dei suoi scritti, alla sua lungimiranza certosina,

coniugando psicologismo, tecnica, indagine e tolleranza molto ampia della rielaborazione

filosofica dei concetti di umanità, intellettualità, anima e umano sentire.


Alessandra Di Gregorio, Scrittura Informa, luglio 2009 (leggi recensione)

 

 

 

Quello che viene fuori è un libro dal significato profondo...dove a dominare sono i sensi, grazie ai quali 

la realtà circostante, costantemente indagata nella sua alternanza di luminosità e ombre, può essere

percepita in tutte le sue sfumature.

Marilena Genovese, Progetto Babele, 17 luglio 2009 (leggi recensione)

 

 

La scrittura della Dagnino assomiglia alla musica, o meglio a tipi di musica cui non siamo abituati

e non perché dissonanti o stonati, ma perché richiedono, per essere ascoltati, un orecchio diverso.

Pensiamo ad esempio la sintesi granulare, dove ogni suono ha una sua precisa funzione, ma solo 

tutti insieme, ognuno nel suo specifico tempo, producono un suono collettivo più grande, che

solo l’intero ci permette di riconoscere.

 

Alessio Pracanica, Lipari.biz,  07 aprile 2009   (leggi recensione)

 

 

L'autrice è abile, coniuga sapientemente musicalità e armonia della parola 

che diviene  nitido specchio dell' istinto

 

Grazia Calanna, L'EstroVerso, Marzo Aprile 2009     (leggi recensione .pdf - 46 Kb)

 

 

 

Erika Dagnino, piacevole confusione        

Una consapevole sovrapposizione di piani narrativi, la confusione dei personaggi, la stratificazione linguistica sono i dati ricorrenti nel lavoro della genovese Erika Dagnino, che dopo Ru e Fro pubblica ora Racconti dell´ombra, entrambi per Csa Editrice. Labile, piuttosto, il confine tra la prosa e la poesia, che l´autrice percorre in un senso e nell´altro di frequente, offrendo così una scrittura piena e di materiali linguistici e di contenuti, nella ridondanza descrittiva di un contesto esplicitamente surreale: "Stavano ora camminando fianco a fianco con incredulità solo del signor Qorhà: senza essersene reso conto aveva dunque aperto la porta, sceso le scale, aperto il portone, e prima ancora di tutto questo infilato i vestiti del giorno precedente identici a quelli dell´altro, per maggior correttezza si invertono i termini, erano gli abiti dell´altro identici ai suoi". Un fraseggio che punta all´indeterminazione in questo caso nel confronto tra corpo e ombra  già presente in Ru e Fro: "Dato che erano stati separati diverse ore, le ore non erano state poche, e in una di queste ore, magari poco prima o molto prima, a Ru (perché a Fro questo non accadeva mai, o accadeva talvolta e solo per motivazioni ignote, scontate ma anche non banali, si può comunque affermare mai, così come quasi mai) venne un certo languore allo stomaco...». Strano, in sintesi (e neanche tanto, se si pensa, a esempio, a Gadda), divertente, appunto poetico, e molto.

Stefano Bigazzi, la Repubblica Fri, 13 Mar 2009 Pagina XIX - Genova

 

 

La convivenza con la propria ombra e le istruzioni per possibili emancipazioni, liberazioni o affrancamenti dalla reciproca compagnia. Muovono da qui i due racconti lunghi che compongono il volume. Non si sottovaluti l’impresa che è degna di eroi, come però questi possono manifestarsi in un tempo come il nostro fuori dal mito: figure dai gesti misurati, mai sopra le righe, di modesta presenza, posseduti da discrete ossessioni, ma che dell’eroe di altre epiche sembrano conservare intatta una certa innocenza di fondo. Prendiamo il signor Qorhà, protagonista del primo racconto: “Ciò che lo assillava era l’ombra in quanto lato”. Dedito all’osservazione della propria ombra, radiografandone i movimenti nell’arco della giornata, per studiarne le variazioni in funzione delle luci differenti del giorno e della sera, il signor Qorhà cerca di penetrare la natura intima di quell’angolo al tempo stesso inevitabile e imperscrutabile. Il frutto delle sue riflessioni sfocia in una serie di appunti sull’invisibile in musica. All’eroe però si addice il viaggio, e così anche il signor Qorhà si avventura fuori città per arricchire le sue osservazioni con nuovi punti di vista, ma l’impresa viene turbata da uno strano incontro. Si riforma qui quel genere di coppia no gender che avevamo già incontrato in Ru e Fro (vedi Quaderni D’Altri Tempi n.XV), che predilige avventurarsi in giri intorno a se stessi, alla propria stanza, o dietro l’angolo di casa, oppure qualche isolato più in là, come viaggiatori illustri in tal senso ci hanno insegnato, a partire da Xavier de Maistre. Coppia che si sdoppia e si raddoppia anche nel secondo racconto, Scèd e Grài, resoconto di separazioni e ricongiungimenti con le proprie ombre. Singolare quartetto protagonista di vicende in apparenza senza accadimenti, ma al termine della loro quest anche Scèd e Grài, si ritroveranno inspiegabilmente in una condizione nuova. Forse.

Gennaro Fucile,Quaderni D’Altri Tempi n.XVI, novembre/dicembre 2008

www.quadernidaltritempi.eu